di Andrea Metta
«Per molti potrebbe sembrare un punto accessorio, ma per me, per la mia storia, è un punto fondamentale […] da oggi, per la scelta che ha fatto questo Governo, gli invisibili saranno meno invisibili».
Teresa Bellanova, Ministra per le Politiche Agricole del Governo Conte II, nella primavera 2020 pronunciava queste parole ad una conferenza stampa in cui annunciava, con evidente emozione, la cosiddetta sanatoria per gli immigrati. Tale sanatoria aveva l’obiettivo di far emergere il lavoro nero, ridando dignità e identità alle persone sfruttate.
Essa consisteva nel far ottenere un permesso di soggiorno per motivi lavorativi agli immigrati irregolari che presentavano contratto di lavoro. In poche parole, chi lavorava già, avrebbe avuto la possibilità di regolarizzarsi abbastanza agilmente, presentando domanda insieme al datore di lavoro.
Negli ultimi mesi si è iniziato a tirare le somme di questo sentito e urgente provvedimento.
I risultati sono del tutto deludenti. Ad oggi solo il 5% delle domande sono giunte a termine e sono ben 40 le Prefetture che non hanno mai iniziato a valutare le richieste arrivate.
Migliaia di persone si ritrovano in un limbo in cui non sanno se le loro posizioni saranno risolte o no. Le motivazioni, secondo Bellanova, sono da ricercare nella mancanza di personale, nei paletti burocratici e in scelte politiche di amministrazioni contrarie. Punti che trovano riscontro anche nell’analisi di Fabrizio Coresi di ActionAid.
Intervistata su La7 riguardo la non riuscita del suo provvedimento, la ex Ministra Bellanova risponde affermando che è colpa dei paletti burocratici e di non confondere le norme con le loro attuazioni. Inoltre, anche lei cita il sottodimensionamento delle Prefetture e la conseguente lentezza delle procedure. In queste motivazioni c’è della verità. Diversi quotidiani hanno descritto una situazione simile e infatti, come dichiarato dal Sottosegretario al Ministero degli Interni Carlo Sibilia, ci sarebbero 800 lavoratori pronti ad essere inseriti nelle Prefetture per espletare queste pratiche.
Da citare ci sono anche delle prassi di alcune amministrazioni che hanno ancor di più ostacolato il processo di regolarizzazione.
Tra le documentazioni che la persona irregolare deve presentare per completare la domanda, c’è l’idoneità alloggiativa. Essa attesta che l’abitazione dove vive il cittadino straniero ha tutti i requisiti richiesti dalla legge in materia di edilizia residenziale. L’abitazione deve essere sicura per la persona che vi risiede. La mancanza di tale idoneità ha penalizzato molte domande di permesso in alcune amministrazioni.
Una circolare ministeriale del 17 novembre 2020, però, ribadisce la possibilità di consegnare il certificato relativo all’idoneità alloggiativa anche in un secondo momento. Pertanto non dovrebbe essere invalidante per le persone che non la allegano subito tra la documentazione.
E c’è di più. Il certificato di idoneità alloggiativa dura solo sei mesi. Nel caso in cui fosse stato rilasciato ad agosto è, ad oggi, già scaduto. È chiaro che queste tempistiche sono un’altra difficoltà che le persone si trovano ad affrontare, visti i tempi lunghissimi per la convocazione in Prefettura.
Giunti a questo punto, sembra evidente come la manovra non abbia portato i frutti per cui era stata pensata. Le responsabilità sono spalmate su più livelli ma non bisognerebbe avere paura nel constatare come, pulendo la questione dalle contaminazioni burocratiche, il problema sia soprattutto di natura politica. Mancano le risorse, è vero, ma non mancherebbero se, una volta stanziate, venissero utilizzate.
Sembra chiaro che le ideologie politiche subentrano anche in questo caso, rallentando o ostacolando il processo di integrazione. D’altronde, la sanatoria stessa è stata il risultato di compromessi continui effettuati tra le parti che formavano il Governo Conte II.