di Fernanda Torre 

Percorrendo le strade che collegano la Cappadocia alla provincia di Antalya, ci si può imbattere spesso in piccoli insediamenti e tendopoli a ridosso dei centri abitati. È il turismo agricolo turco.

 

Tende senza marchi, senza collegamenti alle grandi organizzazioni internazionali, esclusivamente tende. Nel perimetro, innumerevoli donne e bambini. 

La ricerca di questi insediamenti è diventata subito difficile e tortuosa. Gli articoli in lingua inglese a riguardo si contavano sulle dita di una mano. I siti bloccati dal Ministro dell’Industria e della Tecnologia turca aumentavano sempre di più. 

Ad un certo punto si incominciano a leggere le prime notizie del turismo agricolo turco.

L’agricoltura, ancora oggi, in Turchia svolge un ruolo determinante per l’economia nazionale.

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Solo a Gaziantep, vengono oggi dedicati all’agricoltura circa 370.000 ettari di terreno, in particolare alla coltivazione degli alberi di olive e del pistacchio.

 

La Cappadocia da diversi anni è diventata famosa non solo per le mongolfiere e i camini delle fate, ma anche per l’ottima qualità del vino. Vitigni a bacca bianca vengono fermentati due anni in botte, sviluppando una componente unica nel suo genere.

Tra i principali prodotti di raccolta, ci sono poi le nocciole. La Ferrero ne è stata la prima fruitrice. Nella maggior parte dei casi i lavoratori vengono pagati 14 dollari per 12 ore di lavoro al giorno.

 

Dietro a tutto ciò riecheggia forte e chiara l’assenza di una struttura statale in grado di garantire una strategia di inserimento lavorativo. 

In Turchia, come in buona parte degli altri Stati, il lavoro dei campi è sempre stato svolto dalla fascia più povera della popolazione che, tuttavia, oggi viene sostituita dal grande numero di lavoratori stranieri. Tutto ciò ha generato un crollo dei prezzi del mercato del lavoro, portando buona parte degli autoctoni ad abbandonare il proprio paese.

 

In questa carente struttura organizzativa, riecheggia la figura degli intermediari agricoli che hanno un ruolo essenziale nel settore primario.

Gli intermediari agricoli funzionano come una vera e propria agenzia interinale e svolgono un ruolo chiave nel loro settore di competenza. Essi permettono l’incontro tra la domanda e l’offerta del lavoro e distribuiscono, ove necessario, la manodopera spostando i lavoratori da una provincia all’altra.

Oltre ad occuparsi dell’inserimento lavorativo, gli intermediari generalmente provvedono all’erogazione di una serie di servizi essenziali per entrambe le parti: assicurarsi che i lavoratori siano vicini al campo, accompagnarli ai terreni, assicurargli il cibo ed altro ancora.

Ciò che gli intermediari tendono a dimenticare (volontariamente) è la condizione di vita di tali lavoratori. Nelle tende oggi permane la carenza di igiene e i morsi degli insetti provocano malattie intestinali e forti febbri.

 

Non si devono dimenticare i bambini che lavorano nei campi, prevalentemente nell’area legata ai fertilizzanti e ai prodotti chimici, le cui pesanti conseguenze sono plausibili.

 

Più volte l’Unione Europea è intervenuta sull’argomento, spesso inascoltata. Solo nel 2021, anno dello scandalo contro la compagnia Ferrero, la situazione dei lavoratori è leggermente migliorata. 

Oggi però le condizioni precarie persistono, gli insediamenti extra urbani ci sono e lo sfruttamento lavorativo (specialmente se minorile) è una carta ancora troppo forte da scartare.