di Mathieu Porcellana
S. ha freddo. Non dovrebbe, siamo a maggio, ma il maggio europeo non è come il maggio a cui è abituato lui. Forse perché il maggio a cui è abituato gli ricorda casa.
Ora S. vuole solo riposare, è tanto stanco. Non vuole avere freddo, ma soprattutto non vuole pensare. Quel venditore di sogni gli ha dato qualcosa ma lui l’ha già presa e ora l’ha chiesta nuovamente.
Solo alla seconda volta fa effetto.
Chiude gli occhi.
S. ha 23 anni. Sorride sempre, perché non sorridere per un giorno è come sprecarlo, perché, dicono, ha lo stesso sorriso di sua madre, perché ha 23 anni e la consapevolezza di poter superare qualunque cosa.
La Libia non era qualunque cosa. La Libia è qualcosa di serio. Ma S. era pronto. Sapeva più o meno come sarebbe andata in Libia, solo non sapeva sarebbe durata così a lungo.
Ma ora, seppur triste, la Libia è solo un ricordo a cui non vuole pensare, lui vuole farcela in questo nuovo paese. Così sua madre potrà essere contenta di lui.
S. ha 3 fratelli a casa e sua madre. Suo padre è morto anni fa. Lui è il secondogenito, il più scalmanato.
La madre fa fatica a tirare avanti, ma ha sentito di questo che aiuta le persone ad andare in Europa e lì sì che si fanno i soldi.
Così ha permesso che questo venditore di sogni esaudisse il suo personale: che almeno uno dei suoi figli possa farcela.
S. finisce al nord. Bella come città, ma che freddo fa qui? La gente è strana, ti guarda torvo. È in una struttura con altri ragazzi, alcuni di questi hanno fatto con lui il viaggio.
In questa struttura ci sono delle persone che si occupano di loro. Alcuni sono simpatici, altri non molto. Fanno dei discorsi che sembrano davvero quelli di sua madre. “Devi lavarti, studiare l’italiano etc” Ma per favore!
S. si trova bene lì dov’è. Fin troppo bene. La mattina si sveglia tardi, passa le giornate a far poco o nulla in struttura. Non va a scuola, non gli interessa, non sta imparando l’italiano, si esprime ancora a fatica, ma chissenefrega, è venuto per lavorare e fare i soldi mica per fare lo scolaretto.
Peccato che il lavoro scarseggia e pure i soldi. Ha chiesto all’operatore simpatico un lavoro, ma quello si inventa delle storie assurde, perché è solo un razzista di merda, che deve imparare l’italiano, avere la terza media.
Quanto fanno schifo questi occidentali, hanno tutto, tutto. E lo tengono per sé.
Ma nella struttura per fortuna c’è chi la pensa come lui. O. Gli ha detto che quel ragazzo un loro connazionale ti fa fare soldi veri. Mica cazzate.
S. è convinto di farcela a qualunque costo.
Così una sera escono dalla struttura e si incontrano con il connazionale. Gli dà dei sacchetti di plastica.
S. ha capito tutto, ma in cuor suo non vuole ammetterlo.
Non voglio deludere mia madre, pensa, voglio che sia fiera.
Al telefono quando risponde alle sue chiamate, le dice che studia, e che lavorerà in una fabbrica, in Italia ci sono tante fabbriche, faccio quelle cose che piacciono agli europei, mamma non capiresti…
È sempre più nervoso S. Fa fatica adesso a sorridere. Il venditore di sogni gli ha dato una medicina. Quando la prende S. crede di stare meglio.
Ma il suo sorriso assomiglia sempre più a una paresi.
È sempre più nervoso S.
Ha litigato con l’operatore. Quello voleva sapere un sacco di cose. Diceva che era strano, voleva sapere come stava, che forse un lavoretto l’aveva quasi trovato per lui.
Ma lui era scoppiato. L’aveva insultato, quello si era avvicinato e S. lo aveva colpito.
Poi era scappato.
Via.
Era andato dove incontrava sempre il venditore di sogni a chiedergli la medicina. Lui gliela aveva data. Tra le lacrime S. lo aveva ringraziato.
S. si vergogna, è disperato. Il suo sorriso ormai è deformato da un pianto senza lacrime. La medicina ha creato sul suo viso una sorta di paresi. Ormai S. crede di non saper più sorridere.
Fuori fa freddo, troppo freddo. Dormire sulle panchine sta cominciando a farsi sentire. Ormai parla solo con il suo venditore di sogni. Tutto sembra ormai un vero e proprio incubo. Ha imparato a scappare quando sente le sirene. Anche se le prime volte non era stato così veloce. Lo avevano preso i poliziotti. Aveva con sé la busta di plastica del Venditore, ma l’aveva buttata via. Così era stato picchiato prima dalla polizia e poi da lui. Nel parco invece dove dorme ogni tanto dei signori vengono da lui. Rimane sempre un ragazzo giovane e carino.
Sua madre lo chiama, gli dice di venire a tavola, poi deve andare ad aiutare il padre nei campi, vorrebbe dire che sta arrivando, vorrebbe dire che gli dispiace tanto, ma che ci riuscirà questa volta, davvero. Lo giura, Dio è testimone, ci riuscirà “ci riuscirò mamma davvero, ma non adesso mamma fa freddo, l’Europa è fredda, non ci vogliono mamma, mi dispiace”.
Ora vede il volto di sua madre ovunque. La guarda sorridere bonaria, ma quel sorriso non è buono, non è di sua madre, ma del venditore di sogni. Se non lo ripaga lo dice alla sua mamma, ormai è legato a lui, non può rompere quel legame o lui farà accadere cose orribili a lui e alla sua famiglia, ma se fa il bravo lui gli darà la medicina e S. potrà illudersi ancora una volta che prima o poi ce la farà.