di Fernanda Torre
Il carrellino verde in Piazza della Libertà a è stato il simbolo, fin dal principio, del loro lavoro sul campo.
Lorena e Gian Andrea, una coppia che dal 2015 ha messo in piedi un presidio medico all’esterno della Stazione di Trieste. Cosa offrono è semplice: assistenza verso quelle persone che quotidianamente attraverso il confine.
Un confine difficile, lungo e tortuoso. Un confine che dal mare della Grecia risuona forte, un confine che ci ricorda ogni giorno, il potere di un passaporto.
Tutte queste persone, che hanno vissuto il dramma del cammino lungo la Turchia, che hanno affrontato le fredde acque dell’Egeo, che hanno sorpassato confini difficili, pericolosi, a ridosso di ulteriori Paesi restii nei confronti del “migrante, come colui che migra”, sono arrivate in Italia.
Loro, persone, che arrivano a Trieste e incontrano Lorena, Presidente di Linea d’Ombra ODV, insieme al marito Gian Andrea, con la loro macchina carica di medicine, sacchi a pelo, scarpe.
In quel carrellino verde, Lorena e Gian Andrea custodiscono garze, cerotti, disinfettanti, paracetamolo e qualche pomata per la scabbia.
Un carrellino che ogni sera, venivano posizionato nel centro di Piazza della Libertà, come un simbolo di riconoscimento per chi arriva e per chi riparte. Per chi vuole aiutare ma anche per chi, purtroppo, in questi anni ha dimostrato tanto clima d’odio nei confronti di quelle persone che ogni giorno aiutano il prossimo.
Come spesso racconta Lorena, l’immagine del carrellino verde è stato un simbolo di speranza e di quel sorriso che troppo spesso lungo i Balcani si è perso. Un “sorriso stonato”. “Sorridiamo” come ricorda Lorena “mentre sulle spalle abbiamo la nostra vita, che è una vita di privilegi”.
Della storia di Lorena e Gian Andrea ne abbiamo parlato spesso. Forse perché, dall’altra parte dell’Italia, esattamente tracciando una linea retta, arriviamo vicino alla frontiera francese. Altro luogo di passaggi, di confini, di restrizioni, di chi c’è la fa e di chi ritenta, ogni giorno.
La differenza che riecheggia tra le parole di Lorena e Gian Andrea è l’alienazione. Il 23 febbraio del 2021, loro sono stati colpiti.
Loro, simbolo di quel volontariato che troppo spesso, risuona come sostituto di uno Stato che ha paura, che teme la presa di posizione, che teme di andare contro una politica terrorizzata dal migrante, che teme ma poi nelle battaglia di facciata (come nel caso tra la Bielorussia e Polonia, Vucjak e Idomeni) prova ad imporsi.
Lorena e Gian Andrea quel 23 febbraio hanno vissuto l’irruzione della polizia, l’accusa forte, indelebile, che fa male e fa paura, di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Un’accusa pesantissima, dal punto di vista legale e dal punto di vista morale.
In questi mesi in Italia vi è stato un movimento che non ha avuto paura di scendere in piazza e di mostrare totale e inconfutabile solidarietà a questa coppia, che del volontariato ne ha fatto una causa di vita.
In questi mesi le persone sono scese in piazza dimostrando che in tante altre parti d’Italia lo Stato ha approfittato di questa condizione di volontariato. Lo Stato, consapevole, di chi c’era e di c’è ogni giorno, si è battuto contro queste stesse forme di attivismo sociale.
Ora, precisamente 9 mesi dopo, il gip di Bologna ha deciso di archiviare il procedimento giudiziario. Ha ribadito come Gian Andrea non debba essere processato per l’attività di assistenza ai profughi.
Ciò che però rimane, è la ferita di essere accusati di un crimine che troppo spesso noi, persone che nel piccolo ci spendiamo per quella causa che Lorena e Gian Andrea hanno difeso con i denti, abbiamo paura a pronunciare.
Il favoreggiamento all’immigrazione clandestina è un’accusa gravissima, che si paga dal punto economico, morale e psicologico.
Questa volta possiamo tirare un sospiro di sollievo per delle persone, che veramente nel loro piccolo, hanno cercato di esserci, anche nel freddo dei Balcani, nel gelo della bora di Trieste e nell’incombenza di una pandemia.
Loro ci sono stati. In tanti altri posti ci sono molti Lorena e Gian Andrea.
Ciò che è certo è che lo Stato ha timore di quelle di forme di volontariato, che vanno oltre l’azione, oltre il fatto stesso. Si proiettano su dei principi morali che troppe volte lo Stato ha paura a sostenere.