di Fernanda Torre
Fermiamoci, chiudiamo gli occhi e immaginiamo. Immaginiamo uno spazio abbandonato, nel nostro quartiere, nella nostra città.
Ne avremo viste tante di quelle costruzioni che oggi non interessano più. Costruzioni che fanno da contorno scomodo in un agglomerato di case, parchi, mercati, luoghi cittadini.
Questo è il Park Hotel a Melbourne, diventato famoso negli ultimi giorni per essere stato il teatro sospeso del più forte giocatore di tennis. Teatro e ring tra la federazione tennis australiana, che ha concesso a Djokovic l’esenzione dall’obbligo vaccinale, il governo dello stato di Victoria, che ha ammesso di non avere potere sugli ingressi alla frontiera e il governo federale che controlla i confini.
Per alcuni giorni il Park Hotel è stato la casa di Novak Djokovic, non troppi giorni per sua fortuna.
Lì, il giocatore più forte al mondo si è imbattuto in uno spazio simbolo di una politica migratoria dai connotati autoritari, repressivi e discriminanti.
Per chi non conoscesse il Park Hotel, bisogna sapere che dal dicembre 2020 la guardia di frontiera australiana utilizza l’hotel per ospitare migranti e richiedenti asilo che per ragioni esclusivamente sanitarie non possono essere sistemati nelle isole oceaniche, luogo di detenzione e controllo.
Il Park Hotel è il simbolo di una nazione che prova in ogni modo ad eludere il fenomeno migratorio, rinchiudendo i profughi in uno spazio di detenzione che, seppur non si chiami prigione, tutto ricorda le mura di una cella.
Il Park Hotel è quello spazio dove entri e non puoi uscire. È quel luogo dove il cibo che arriva è infestato da larve, è quello spazio dove le finestre possono essere aperte massimo cinque centimetri. È quella prigione dove non puoi uscire in alcun modo, neanche in situazioni di estrema emergenza: incendio, terremoto o qualsiasi altro incidente o evento naturale.
Mostafa Azimitabar
Attualmente nel Park Hotel vivono trenta persone, per lo più richiedenti asilo.
Inutile raccontare le situazioni umanitarie per ognuno di questi trenta casi.
“In un intero anno gli ospiti che hanno ‘pernottato‘, loro malgrado, nella struttura sono stati circa 180. La maggior parte di loro sono state portate in Australia per ricevere cure mediche adeguate dopo essere state trattenute su Nauru, piccola isola del Pacifico”.
Il capitolo Djokovic si è chiuso in queste ore, il governo australiano ha deciso di annullare il suo visto per la seconda volta per motivi di salute pubblica. Paradossalmente l’Atp ha sottolineato che “le decisioni dei tribunali in materia di salute pubblica devono essere rispettate” ma che “l’assenza (di Djokovic) agli Australian Open è una sconfitta per il tennis“.
La nostra sconfitta, invece, è sapere quale sia il trattamento disumano riservato agli immigrati irregolari e ai richiedenti asilo. Persone senza un visto, senza diritti e libertà. Questa però, è tutta un’altra storia, l’inizio di uno spietato labirinto.
È una prigione, è una prigione definitiva.
Diego Fedele/Getty Images
Immagine in evidenza: Diego Fedele/Getty Images