di Roberto Cascino
[/et_pb_text]Ti avverto: questo è un pezzo di opinione.
Se non hai voglia di affrontare l’ennesimo sproloquio su internet ti chiedo, senza rancore, di spendere i prossimi minuti in maniera più divertente, o produttiva, o tutte e due le cose.
Se sei sulla sezione Narrazioni magari nel passato ti è capitato di leggere altri pezzi prodotti da noi de Il Pulmino Verde.
Magari non è materiale da premio Pulitzer, ma ci puoi trovare cose davvero interessanti: rispecchiano la sensibilità di ciascuno che ha scritto un articolo, una storia, un approfondimento.
Non sembra, ma ci sbattiamo davvero tanto ogni settimana per cercare di affrontare gli argomenti che ci interessano con un taglio di comunicazione che possa essere apprezzato da tutti, e davvero tutti, quindi sia da chi condivide i nostri valori sia da chi li osteggia.
Perché la verità è che ci piace confrontarci con il nostro prossimo.
Questo ci ha esposto a situazioni poco piacevoli in passato, siamo stati accusati di rappresentare partiti politici, personaggi pubblici, collettivi apartititici, istituzioni filantropiche, insomma qualunque tipo di realtà che con noi non aveva molto a che fare.
Abbiamo sempre incassato questi attestati di stima per ingenuità o per ostentata testardaggine nel difendere il nostro punto di vista che tutti hanno diritto di parola, se consapevole e circostanziata e priva di insulti gratuiti.
Io però sinceramente non ce la faccio più ad accettare che l’unico modo di comunicare sia quello del dibattito costante tra chi ha ragione e chi ha torto.
Negli ultimi tempi leggo e sento in giro di come la polarizzazione nei media stia producendo effetti sociali devastanti.
Mi sembra, talvolta, un’ottima scusa per deresponsabilizzarsi rispetto a prese di posizioni assurde che rendono ciascuno di noi esperti in argomenti che invece dovremmo affrontare con maggiore attenzione.
Mi dispiace che non si riesca più ad affrontare dei discorsi difficili, complicati ma necessari per lo sviluppo di una società senza scadere nella becera partigianeria.
Non parlo solo della guerra, del Covid, dei migranti o di qualsiasi altra notizia che per 15 giorni occupa le nostre menti finché i cicli mediatici scoprono il prossimo divertimento.
Quanto è serio questo modo di affrontare ogni questione che riguarda un minimo di compromesso, se non nella visione almeno nei toni e nei gesti utilizzati per venirsi incontro e raggiungere un risultato?
Se pensi che queste parole trasudino qualunquismo avete perfettamente ragione. Ma siccome viviamo in un’epoca in cui il qualunquismo sembra sia stato superato da ogni forma di tifo oltranzista basato su posizioni espresse da personaggi di minima caratura, preferisco tenermi la mia opinione formatasi all’Università della StradaTM.
Perché scrivo questa cosa
Se permetti, il mio non è un panegirico che impiega troppe parole per dire qualcosa facilmente riassumibile con si stava meglio quando si stava peggio.
La degenerazione sociale e culturale in questo paese, più di altri che ci stanno accanto, è iniziata molto prima che arrivassero i social. Secondo me, bisogna tornare addirittura a prima dei primi anni di governo berlusconiani.
Potrei aprire una parentesi lunghissima per tentare di mettere in relazione i due momenti storici, fare della sociologia della comunicazione e lanciarmi in paragoni molto azzardati. Ma siccome crediamo nell’informazione di qualità e qui a Il Pulmino Verde ne abbiamo una brava che parla di media, mi limito a ricordarvi questo.
“Non te lo ricordavi, eh?”
Ci siete ancora? Se avete bisogno di qualche altro minuto per riprendervi dal flusso di coscienza scatenato da questa immagine vi capisco. Situazioni del genere, che abbiamo affrontato prima con fragore e poi con sempre crescente rassegnazione, hanno contribuito a creare mille personaggetti.
Epigoni o avversari di Berlusconi, che ancora oggi cercano di imitare il suo tempo attoriale, il suo mettersi al centro di qualsiasi discorso, la sua capacità intrinseca di mentire e smentirsi nel corso della stessa giornata.
Ora, dove voglio andare a parare.
Oggi che scrivo è il 2 giugno, una data che ci unisce: nel 1946 altri italiani come noi presero una decisione che è rimasta una pietra miliare nella storia del nostro Paese.
Lo fecero, consapevolmente o inconsapevolmente, per distanziarsi da un regime monarchico che non era stato in grado di difenderli a dovere dagli errori e orrori che, a partire dal fascismo in poi, hanno marchiato l’Italia.
Lo fecero persone diverse, provenienti da esperienze diverse, vissute in contesti diversi. Lo fecero per la fondamentale necessità di creare un futuro prospero non solo per le generazioni future ma anche per loro stessi che si erano riguadagnati la libertà combattendo.
Non paragono questa situazione a quella attuale, ci mancherebbe. Dico solo che se persone così distanti nel tempo e nello spazio (hai presente che differenza c’era allora tra il centro di Milano e un latifondo calabrese?) hanno dato una svolta così grande al destino di un Paese, anche noi possiamo provare a intervenire in questa situazione.
Parlo con te, perché sei il mio interlocutore privilegiato all’interno di una discussione che avrà una risibile eco ma se questa opinione uscisse dalla bolla che ci circonda vorrei che fosse interpretato come una mano tesa verso un altro diverso da me e te.
Parlo con te, anche se vorrei avere la possibilità di parlare con qualcuno il cui punto di vista differisca completamente dal mio eppure me lo sappia spiegare in maniera pacata e diretta, senza ricorso ad argomentazioni farlocche ripetute da cento altre bocche prima di atterrare nel proprio cervello.
Parlo con te, che grossomodo condividi i miei valori: ma ti assicuro che se non li condividessi lo farei lo stesso perché questa situazione coinvolge entrambi e noi ci dobbiamo vivere insieme in questo posto per i prossimi anni.