di Federica Zanantonio Martin 

Mentre mi accingo a scrivere questo articolo, l’ultimo della sezione narrazioni de Il Pulmino Verde prima della meritata pausa estiva, nella sala accanto al mio ufficio – all’interno di un centro educativo e aggregativo del quartiere Barriera di Milano a Torino – ci sono bimbi e bimbe che non curanti del caldo e sfidando le alte temperature che arroventano l’asfalto torinese e non solo, si stanno allenando con la matematica e l’italiano, iniziando a svolgere le prime pagine dei temutissimi e odiatissimi libri delle vacanze estive. 

 

Sono piccoli e piccole nate in Italia da genitori stranieri, nate all’estero e arrivati in Italia da piccini, oppure nate in Italia da genitori di nazionalità italiana. I loro percorsi personali e familiari rispecchiano tutte le possibili alternative al mondo, molti di loro portano sulle loro spalle un background migratorio che provano a collocare e situazionare con la musica, mentre ascoltano Baby Gang, con la lingua, creando un mix tra italiano, arabo e albanese incomprensibile a noi adulti. Quei bimbi e quelle bimbe come gli adolescenti che incrocio ogni giorno rappresentano appieno quella nuova generazione Italia che in pochi ancora riescono a captare e a riconoscere sullo spazio pubblico. 

Più e più volte, all’ingresso del centro, arrivano persone a chiedermi se al nostro interno organizziamo attività educative anche per italiani. 

A quell’anche, storco sempre il naso, in rappresentanza proprio di questa negazione del reale che ci circonda.

Ora, nelle ultime settimane, forse avrete sentito e letto di tutto il carrozzone polemico creatosi attorno alla proposta di legge “Ius Scholae”, un testo di riforma sulla cittadinanza arrivato alla Camera dei Deputati e che – se approvato – rappresenterebbe un passo decisivo e di svolta per il riconoscimento dei diritti di tanti bambini e adolescenti, come quelli ospitati nel centro in cui lavoro, ai quali ancora oggi sono invece negati alcuni diritti importanti.

Ma come si diventa italiani in Italia?

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(Fonte immagine: Stranieri in Italia

 

Ad oggi, in Italia, l’acquisizione della cittadinanza italiana è ancora regolamentata dalla legge 91 del 1992 che stabilisce come il diritto di cittadinanza sia vincolato al cosiddetto ius sanguinis, ovvero chi è figlio di italiani lo è a sua volta.

 

Altro percorso spetta ai minorenni di origine straniera nati sul suolo italiano. Tra di loro, solo coloro che hanno risieduto legalmente e senza interruzioni nel nostro paese fino al raggiungimento della maggiore età possono diventare cittadini italiani, con il vincolo di presentare richiesta entro un anno dal compimento del diciottesimo anno di età. 

Tuttavia questa è una legge che complica notevolmente la vita dei bambini, delle bambine e degli adolescenti che nascono e crescono in Italia e che, rispetto ai loro compagni di nazionalità italiana, si vedono – ad esempio – privati di numerose opportunità extra scolastiche come la partecipazione a gite scolastiche e attività sportive, esponendoli a condizioni di vulnerabilità e discriminazione, rischiando così di limitare non solo il loro senso di appartenenza al territorio e alla comunità ma limitando de facto anche la loro vita sociale. 

Sappiamo che negli ultimi anni, numerosi sono stati i tentativi di riforma o modifica della legge 91/2018, non ultimo il decreto sicurezza del 2018, convertito in legge nel 2020 e che ha avuto, per contro, come effetto il rendere sempre più difficoltoso il procedimento di richiesta della cittadinanza, andando ad allungare tempi e aumentare i costi per portare avanti tutto l’iter burocratico richiesto.

 

Sappiamo anche che ciclicamente si torna a parlare di come una riforma in materia non solo sia auspicabile ma soprattutto necessaria visto i numeri che andrebbero a interessare. 

Infatti, in base ai dati stimati dall’Istat, al 1 gennaio 2022, il numero di minori stranieri nel nostro paese supera di poco il milione, pari all’11,5% della popolazione residente al di sotto dei 18 anni di età. Secondo il Ministero dell’Istruzione, che ha raccolto i dati relativi all’anno scolastico 2019/2020, gli alunni con cittadinanza straniera iscritti alle scuole di ogni ordine e grado in Italia sono 879.801, rappresentando così il 10,3% della popolazione scolastica a livello nazionale. Tra di loro, circa due terzi (573.845) sono nati in territorio italiano e rappresentano quelle che definiamo “seconde generazioni”. 

 

Proposte dello Ius Scholae

 

Ma in concreto, in cosa consisterebbe questo Ius Scholae ?

Il testo in discussione alla Camera – e che proprio in queste ultime ore è slittato a settembre – prevede tra le tante cose : il riconoscimento della cittadinanza italiana per i giovani con background migratorio nati in Italia o arrivati prima del compimento dei 12 anni di età.

Tra i requisiti viene richiesto che i minori risultino residenti legalmente e che frequentino regolarmente da almeno 5 anni le nostre scuole.

Altre sono poi le innovazioni proposte dal testo di riforma come : la presentazione su base volontaria della domanda di cittadinanza prima del compimento del diciottesimo compleanno che può essere fatta direttamente da almeno un genitore legalmente residente in Italia. A questo, bisogna aggiungere una specifica relativa al ruolo delle anagrafi, tenute a comunicare nei sei mesi precedenti il raggiungimento della maggiore età la possibilità di acquisire il diritto di cittadinanza.

Ad oggi, quello che sappiamo è che in queste ultime ore la discussione è stata rinviata a settembre e che probabilmente con l’apertura della crisi di governo che si sta andando a delineare sempre più, tornerà ben presto ad essere un dossier chiuso in qualche cassetto dei palazzi romani.

Da lavoratrice del mondo del sociale, come cittadina, come essere umano mi auguro tuttavia che questa opportunità di uguaglianza – che coinvolgerebbe più di un milione di persone – possa trovare la sua strada verso un’approvazione legislativa che possa stralciare una normativa vecchia di trentanni, incapace e miope nel rappresentare e caaptare questa nuova generazione di italiane e italiani che non aspettano altro che essere riconosciuti e rappresentati nello spazio pubblico e politico del paese in cui vivono e stanno crescendo.