di Fernanda Torre
La situazione di Mitrovica rappresenta ciò che da anni la Comunità Europea e le ONG straniere stanno combattendo: l’immobilismo e il grande contrasto politico e nazionale.
Mitrovica è una città tagliata in due dal fiume Ibar: a nord la minoranza serba, a sud gli albanesi. A sud si percepisce una presenza europea e internazionale e la moneta utilizzata è l’Euro. A nord la moneta è il dinaro serbo e le vie sono contornate da bandiere serbe e/o russe.
I cimiteri però, sono agli opposti: se la parte albanese custodisce il cimitero serbo, dall’altra parte delle città, a nord c’è il cimitero islamico.
Sicuramente le tensioni latenti si sono riaccese negli ultimi mesi. Il Kosovo sperimenta ciclicamente delle tensioni. Uno stallo politico e sociale che dura con decrescente intensità dal 1999.
Da aprile scorso, nel momento in cui il Kosovo è andato al voto, l’instabilità politica è aumentata in maniera esponenziale. Paga purtroppo il fallimento degli accordi di Bruxelles del 2013, accordi che potevano dare luogo ad un processo di normalizzazione del Paese.
Oggi invece abbiamo da un lato la diplomazia europea che si trova, involontariamente, ad assistere a continue provocazioni da ambe due le parti.
In mezzo si trova la popolazione kosovara, arrivata ad uno dei momenti di più alta tensione. La stabilità, l’integrazione e la normalizzazione sono stati sostituiti da violenze e gravi scontri interni.
Sembra lontano il ricordo del 27 febbraio 2023, giorno dell’incontro, mediato dai rappresentanti dell’UE, tra il presidente serbo Aleksandar Vučić e il capo del governo kosovaro Albin Kurti. L’obiettivo del dialogo mirava a individuare una proposta europea di normalizzazione delle relazioni tra Pristina e Belgrado.
C’è da ricordare che ancora oggi il Kosovo non viene riconosciuto dalla Serbia quale stato indipendente.
Ciò che viene riconosciuto è l’integrità territoriale del Kosovo, i suoi simboli nazionali e i suoi passaporti, nonché il suo diritto di aderire alle organizzazioni internazionali.
Dopo gli scontri del 29 maggio 2023 che coinvolsero anche militari italiani, l’ultimo fatto arriva il 10 luglio 2023, quando Kurtis pubblica su Twitter il piano per ridurre nelle aree a nord a maggioranza serba le forze di polizia del 25%.
Immediata la risposta di Belgrado, che ha visto in tale gesto una provocazione e una minaccia alla popolazione locale.
Secondo Kurtis però, l’obiettivo dell’accordo con l’Unione Europea era quello di diminuire l’escalation nel nord e la normalizzazione delle relazioni con la Serbia, adottando in primis misure concrete per garantire la pace, la sicurezza e la stabilità, partendo dal numero delle forze di polizie. Su un recente contributo di Articolo 21, si legge:
“C’è da ricordare che tali territori abitati da serbi, e finora ribelli ad integrarsi pienamente nella struttura statale del Kosovo hanno visto il culmine nelle ultime elezioni amministrative, con il boicottaggio di massa dei serbi, che hanno portato all’elezione di sindaci eletti con una percentuale minima degli aventi diritto (3,47%).”
Possiamo dunque capire come la questione ricade sulla popolazione locale, che quotidianamente vive le escalation di violenza, tensione e preoccupazione, con il ricordo non troppo lontano, della guerra del 1999.