di Mathieu Porcellana 

Questa settimana sono state imbarcate le prime persone deportate in Albania.

Sono state imbarcate le prime 16 persone che riempiranno i lager albanesi costruiti dall’Italia per far fronte all’”emergenza sbarchi”. Sono iniziate le prime deportazioni a firma italiana verso lager nostrani costruiti su un territorio da noi usato come colonia.

Dalla Seconda guerra mondiale (considerando anche i precedenti) non abbiamo capito molto. Eppure anche andando più indietro ci rendiamo conto che quella non era la prima volta. Per dirne una, credo che anche i nativi americani avrebbero qualcosa da dire sui modi europei di rapportarsi con l’altro.

La storia europea è costellata di questi episodi che ci sono stati tramandati in modo più simpatico, più digeribile.

Ci indigniamo (giustamente, eh) per le morti nel Mediterraneo, fin troppo spesso senza collegare quel fenomeno al colonialismo europeo.

Siamo persone bianche cariche di un privilegio immenso che gronda sangue. Siamo persone bianche privilegiate, che siedono su scranni costruiti su morte e distruzione.

Siamo persone bianche privilegiate ed è tempo di risponderne, perché la Storia sta venendo a chiederci il conto: non possiamo rintanarci nella scusa del “non sapevo”.

Come accadde ai nostri nonni, anche a noi viene chiesta una scelta, di prendere una posizione. Oggi, rispetto a ieri, abbiamo maggiore informazione e questo richiede maggiore consapevolezza.

Consapevolezza del fatto che, pur non per scelta individuale, gli europei nascono con una sorta di peccato originale, un debito verso quelle persone che, oppresse, hanno garantito la prosperità, per secoli, di un Continente intero.

Se finire in carceri sovraffollate a rischio perenne di violenza pare brutto, immaginate cosa significa finire in questi luoghi sapendo di valere meno degli altri detenuti, privati di tutti i servizi che danno alle prigioni un minimo di umanità.

Questo è quello che provano quotidianamente le persone razzializzate rinchiuse lì dentro. Quale è il motivo? Quello di non avere un documento.

Un documento, intesi? Un pezzo di carta, che ha l’enorme potere di creare un discrimine tale per cui possederlo o meno segna il confine di una vita più (o meno) degna di essere vissuta.

La prima volta che mi imbattei nei CPR avevo 20 anni e una scarsa consapevolezza. Quattordici anni dopo i CPR (che all’epoca si chiamavano CIE) sono diventati argomenti di discussione, abbiamo video e testimonianze che documentano quello che succede lì dentro.

Come si può, umanamente parlando, vivere tranquillamente sapendo che nella propria città esiste un CPR?

Un tempo si aveva la decenza di costruire i lager fuori dai centri urbani, lontani dagli occhi e lontani dal cuore dei bianchi abitanti delle città europee.

Intanto, le immagini di ciò che accade in Palestina fanno raggelare il cuore.

Fa raggelare ancora di più che tutto ciò avvenga nella più totale impunità da parte degli aggressori e con la complicità di quegli stessi Stati occidentali che, pur di tenersi chiusi nel proprio privilegio, non solo uccidono migliaia di persone che tentano di accedere alla fortezza Europa, ma diventano complici dei carnefici dei palestinesi.

Potrei andare avanti ancora e ancora, ma credo sia il caso di giungere a una conclusione.

Dobbiamo renderci conto che per noi, portatori del suddetto privilegio, la pacchia è finita. Occorre rendersi conto che è giunto il momento di prendere in mano le proprie responsabilità, singole e collettive, per opporci a un sistema violento, razzista e fascista che non sta contagiando solo il nostro Paese, ma tutto il Continente.

Dobbiamo liberarci dalle baroccate ideologiche è ritornare a un concetto molto semplice: “la vita umana va protetta”, a prescindere dalle origini. Perché in Europa, al posto della parola “umana” abbiamo sostituito la parola “bianca”. I recenti conflitti vicini e lontani lo hanno ampiamente dimostrato.

La vita va protetta a tutti i costi e su questo non si possono fare compromessi. Anche se non abbiamo imparato niente, la Storia ci ha mostrato più volte dove portano queste barbarie.

O, forse, non vogliamo ammettere che i cosiddetti barbari siamo noi.

L’immagine di copertina è un planisfero, una delle più tipiche rappresentazioni dell’Occidente messo al centro del mondo.